Sempre più tra le mura domestiche (65%) e meno fuori casa: una tendenza ormai storica del consumo di vino di Italia, che si consolida sempre di più. Le cifre Wine Monitor - Nomisma, nellOsservatorio del Vino, promosso da Unione Italiana Vini (Uiv)
Nel 2005 il consumo di vino tra le mura di casa, in volume, era il 59% del totale: oggi la quota è intorno al 65%, ed è destinata ad aumentare, intorno al 68% nel 2018, con il conseguente riposizionamento del consumo fuori casa dove, comunque, si realizza oltre la metà del valore del mercato enoico nazionale. Un trend ormai storico, per il vino in Italia, che si conferma e si consolida sempre di più, come emerge da un’indagine di Wine Monitor - Nomisma, nel lancio dell’Osservatorio del Vino, promosso da Unione Italiana Vini, con Ismea e Sda Bocconi, condotta sondando 1.279 persone tra i 18 ed i 70 anni. Da cui emerge, intanto, che se i consumatori che bevono più di mezzo litro di vino al giorno, nel 1993, erano 4 milioni (su una base di consumatori totali di 29,5 milioni di persone), nel 2014 il numero si è drasticamente ridotto, a 1,3 milioni di consumatori (su 27 in totale). E oggi, il 20% di chi beve vino in Italia lo fa tutti i giorni, il 22% 2-3 volte a settimana, il 23% qualche volta al mese, il 15% più raramente, ma c’è anche un 20% che nom beve mai. Con la percentuale di chi beve tutti i giorni che sale al 32% tra le mura domestiche, e scende all’11% nell’on-trade (ristoranti, wine bar ed enoteche), con il risultato che il 45% di chi beve a casa consuma almeno una bottiglia a settimana, contro il 23% di chi consuma vino prevalentemente fuori casa. E se, tra le mura domestiche, il vino si beve con una netta prevalenza nei pasti (72%), fuori casa pesa molto il momento dell’aperitivo, che rappresenta il 26% delle occasioni di consumo di vino (da solo o come ingrediente di cocktail), dietro a pranzi e cene di divertimento (37%). Curioso anche il dato sull’eta media: 37 anni per chi beve vino a casa, 47 per chi lo consuma fuori. Un canale importante, comunque, quello dell’horeca, che se da un lato mostra qualche segno di risveglio, deve tenere altra la guardia per il futuro, visto che se il 54% dei consumatori non pensa di cambiare abitudini di consumo, il 13% di chi beve fuori casa prevede, nel 2016, di ridurre le quantità (contro un 7% che prevede un aumento), e con l’8% che pensa di acquistare vini meno costosi (su un 6% che guarderà, invece, a bottiglie più care). Insoma, una tendenza lievemente negativa, che non è l’unico dato che deve far riflettere il mondo del vino italiano. Che 10 anni fa, per esempio, pesava per il 61% dei consumi complessivi di bevande alcoliche in italia, sul 35% della birra; percentuali che oggi sono diminuite, nel primo caso, al 56%, e salite, nel secondo, al 39%. Segno che c’è un effetto di sostituzione tangibile in atto, guidato soprattutto dai giovani. Con il vino è soprattutto tradizione (è il primo aggettivo che viene in mente oggi al 30% degli italiani) e convivialità (25%), ma anche bevanda per occasioni speciali (12%), a testimonianza del fatto che per un ampio gruppo di italiani il consumo di vino si sta allontanando sempre più alla quotidianità.
La birra, invece, è associata soprattutto a divertimento (primo aggettivo indicato dal 24% degli italiani), relax (19%), convivialità (15%) e festa (14%). Il vino è percepito, quindi, come consumo “complesso”, e ciò è ancora più chiaro anche dall’analisi tra le generazioni: i Millennials riferiscono che il vino è tradizione, convivialità ma anche formalità e monotonia (13%, contro il solo 2% tra i baby boomers). Un vino che resta saldamente leader tra le bevande alcoliche in Italia, dunque, ma che non può dormire sugli allori, guardando al futuro.
fonte: Winenews
Competitive Data ha completato lanalisi dei bilanci dei primi 290 produttori italiani di vini e spumanti per il triennio 2012-2014, e li ha messi a confronto con la media settoriale e i top performer per 31 indicatori economici e finanziari.
La fotografia del 2014 mostra come a fronte di una flessione dei ricavi del 2,5% vi sia una crescita dell’ebitda medio del 7,6%, e una crescita media del risultato operativo del 80,4%.
Il calo dei ricavi ha però un andamento differente all’interno dei vari cluster di fatturato; sono le aziende con fatturato inferiore ai 10 mn di euro a far registrare il calo maggiore, pari a -15,3%, mentre le aziende con fatturato compreso fra i 10 e i 50 mn di euro crescono del 1,5%, e le aziende con fatturato superiore ai 50 mn di euro flettono del 2,1%. Scendendo più nel dettaglio sono in crescita tutti gli indicatori di redditività, a partire dalla marginalità media, data dal rapporto ebitda/vendite, cresciuta dal 7,8% del 2013 al 8,6% del 2014. Tra gli altri indicatori di redditività è il ROE a far segnare il recupero più importante, e dopo aver fatto registrare una flessione marcata nel 2013, era pari al 1,0%, risale al 7,2% nel 2014. Si distingue per crescita anche il ROI che passa dal 4,1% del 2013 al 7,0% del 2014.
Le aziende top performer, quelle che ottengono performance superiori alla media, presentano una marginalità media del 15,6% nel 2014, anche questa in crescita rispetto al 14,0% del 2013. Dall’analisi dell’area finanziaria si possono cogliere alcuni campanelli di allarme, il rapporto d’indebitamento medio si mantiene stabile al 2,9%, soglia indicativa di una situazione di problematicità, e l’indice di liquidità, sebbene stia migliorando (è passato dallo 0,7% del 2013 allo 0,8% del 2014) si mantiene nell’area dello squilibrio finanziario. Se si guarda alla ripartizione dei ricavi per area geografica di appartenenza sono le aziende del Veneto ad occupare la prima posizione, con il 33,0% dei ricavi complessivi, seguite da Emilia Romagna 15,9%, e Piemonte con l’11,7% di quota. Le crescite maggiori fatte registrare nel 2014 spettano alle aziende del Friuli-Venezia-Giulia, con una variazione positiva del 21,9%, e dell’Umbria con +15,9%.
Il report, completo e personalizzabile, è disponibile all’indirizzo
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