Il controllo del vigneto in mobilità in Trentino è una realtà.
Ricercatori del Centro di trasferimento tecnologico della Fondazione Edmund Mach-Iasma hanno messo a punto un'app proprietaria (oggi solo per Android), abbinata a un portale web dedicato, per monitorare in dettaglio lo stato di salute dei vigneti, effettuando le rilevazioni esclusivamente tramite smartphone. L'applicazione, denominata FieldOffice Vite e al momento in uso soltanto ai tecnici della fondazione, è parte integrante del progetto Smart Monitoring avviato dal Fem-Iasma nel 2012 e che ha portato finora allo sviluppo di tre applicazioni: MeteoFem, ora disponibile in una versione migliorata, FieldOffice Vite in versione pure potenziata e FieldOffice Melo, al primo stadio.
La nuova versione di FieldOffice Vite, presentata durante l'incontro tecnico sulle nuove emergenze fitosanitarie e i sistemi di lotta tenutosi a San Michele all'Adige venerdì scorso, si compone di quattro sezioni. La prima serve per rilevare la presenza di peronospora e oidio su foglia e su grappolo e la fenologia in parcelle testimone, dove non viene effettuato alcun trattamento. La seconda abilita la rilevazione, direttamente nei vigneti normalmente trattati, di un'ampia gamma d'avversità e della loro gravità tramite tasti contatori. E comprende maschere dedicate per peronospora, oidio, fenologia, botrite, marciumi, disseccamento del grappolo, cocciniglie, cicaline, tignole e minatori fogliari. Nella terza sezione è possibile imputare i risultati di controlli pianificati nel tempo nelle medesime parcelle di vigneto circa la diffusione del CpGV, della cicalina scaphoideus titanus e del numero delle piante affette da fitoplasmosi come fiavescenza dorata e legno nero. L'ultima sezione consente poi di consultare i dati presenti nel database direttamente dallo smartphone. Le informazioni imputate tramite l'app finiscono su una piattaforma web della fondazione, dalla quale possono essere modificati, ulteriormente elaborati e condivisi.
Autrice: Luisa Contri ***
Fonte: ItaliaOggi
Meno spazi, giù i volumi, ma crescono valore e fatturari (dati Iri). E in futuro conterà sempre più creare unesperienza dacquisto che motivi il consumatore, è lanalisi di Pietro Rocchelli, alla guida della Maurizio Rocchelli
Dati Iri: vino italiano e gdo, meno spazi, giù i volumi, ma crescono valore e fatturatiLa gdo, in Italia, pesa per oltre il 65% delle vendite di vino, in volume, secondo i dati dell’Osservatorio del Vino di Unione Italiana Vini. Ma è un mondo complesso che è cambiato molto, negli ultimi anni, e che sta cambiando ancora. E dove, in generale, calano volumi e spazi allo scaffale, ma tengono e crescono fatturati e volumi, grazie alla crescita del prezzo medio, con una progressiva concentrazione del business tra poche insegne e su poche tipologie di prodotto, come spiegano, da un lato, i numeri di Iri (www.iriworldwide.it) e, dall’altro, le analisi, a WineNews, di Pietro Rocchelli, alla guida della Maurizio Rocchelli, una delle più importanti agenzie di consulenza nelle strategie commerciali e di comunicazione per il wine & food, specializzata proprio nei rapporti tra produttori e grande distribuzione (www.rocchelli.eu).
Partiamo dai numeri, che parlano di una grande distribuzione che, sul vino confezionato, tutto sommato, nel 2015 se la passa bene (in attesa dei dati delle festività Natalize): il dato Iri, aggiornato ad ottobre 2015, parla di +1,3% in valore, +0,6% in volume e +0,7% sui prezzi per il vino confezionato, sul 2014. Ma se questa è la tendenza del presente, è interessante anche capire come si è strutturata la distribuzione organizzata nel recente passato.
Innanzitutto, è evidente la concentrazione nelle mani di poche insegne, visto che le prime 6, da sole (dato 2014) fanno il 72,9% del fatturato, Coop in testa (18,1%), seguita da Esselunga (17,1%), Conad (13,2%), Selex (9,4%), Auchan (8,4%) e Carrefour (+6,7%). Con le prime 20 tipologie di vino venduto che pesano per il 31% in volume e per il 37% in valore, con entrambi i parametri in leggera diminuzione nel 2014 sul 2012, segno che l’aumentata varietà dell’offerta e gli sforzi fatti dalla catene di gdo per valorizzare produzioni tipiche e magari più piccole, nei numeri, stanno incidendo sul mercato.
Nel complesso, però, i volumi sono in contrazione, mentre cresce il valore, grazie alla crescita del prezzo medio: dal 2009 al 2014, il valore è passato da meno di 2,5 euro a litro a quasi 3,5 euro, per un fatturato cresciuto del 6,4% (+90 milioni di euro, per 1,4 miliardi di euro), ma quantità in calo, nel complesso, del 12,3% (si sono persi ben 700.000 ettolitiri di vino).
Con il vino in bottiglia da 75 cl che cresce sia in volume (vale il 48% del totale) che in valore (71%), il brick che vale il 30% in quantità e il 15% in valore, e gli altri formati, in calo, che ad oggi rappresentato il 22% delle vendite di vino in volume ed il 14% in valore.
Ma uno dei dati da tenere in maggiore considerazione è quello delle dimensioni dei punti vendita: gli Ipermercati (sopra i 2500 metri quadrati di superfice), tra il 2012 ed il 2014, hanno perso l’1% sul valore delle vendite di vino confezionato, sulle quali pesano per il 14% del totale, mentre i supermercati (tra i 400 ed i 2500 metri quadrati), sono in crescita dell’1,2% (e valgono il 6,6% del totale). Ma crescono anche i discount (+0,6%), che diventano così il secondo canale di vendita di vino confezionato, in valore, della gdo, con il 14,9% del totale, mentre diminuisce il peso di quello che è ancora il player n. 1, ovvero il Libero Servizio Piccolo (punti vendita tra i 200 ed i 400 metri quadrati), dove si realizza il 14,9% del fatturato del vino confezionato venduto nel Belpaese.
Ma se questi sono i numeri, da chi vive a contatto con produttori e catene distributive, come Pietro Rocchelli, alla guida della Maurizio Rocchelli, “a livello generale - spiega a WineNews - si registrano tre fenomeni che meritano di essere evidenziati. In primis, una rinnovata fiducia che stimola le vendite di vino e di cibo un po’ su tutti i mercati e tutti i canali di vendita. Poi, è sempre più evidente che ci siamo tutti abituati a approfittare di più canali di approvvigionamento, si è cioè consolidata l’abitudine alla multicanalità: aumentano le vendite on-line ma anche le vendite dei retailer specializzati, e vale anche per il vino. Infine, l’approccio all’acquisto è molto consapevole e selettivo. La crisi ci ha abituati all’attenzione e alla prudenza. Questi tre fattori implicano riflessioni che tutti i retailer devono necessariamente fare per migliorare la loro efficienza”.
Detto questo, però, spiega Rocchelli, “il punto è capire come sta il vino in generale. Perché si deve ancora amare il vino? Occorre cioè chiedersi perché nonostante tutto ci sia qualcuno sempre disposto a spendere dei soldi per acquistare una bottiglia di vino. Io penso che questo sia ancora possibile perché il vino è oggi più che mai una delle più esaurienti risposte a molte delle domande che le persone rivolgono: la domanda di convivialità, di tipicità, di naturalità, di ecologia, di tradizione, di rispetto. Finché il vino saprà rispondere a queste domande in modo credibile, starà bene sia in Gdo che nei ristoranti che nelle enoteche. Piuttosto bisogna vedere come stanno la gdo, i ristoranti e le enoteche che non sempre sembrano stare al passo con ciò che la gente chiede”.
Ovviamente, ci sono differenze, perchè molte catene hanno investito in corner dedicati al vino, a volte anche con addetti ad hoc e progetti strutturati. “Quelle insegne gdo che hanno fatto questi investimenti hanno saputo leggere e interpretare la domanda di informazione e educazione sul vino e sul cibo che tradisce il bisogno di sapere e di scoprire, che è sempre attualissimo in tutti noi quando parliamo di cibo, vino e tradizioni. Questo è il fattore comune sul quale devono lavorare tutti coloro che vogliono vendere qualcosa: oggi la domanda è prima di tutto una domanda di sapere, solo successivamente diviene una domanda di un oggetto, vino o altro. Quindi chi vende deve prima spiegare e informare e deve farlo bene, sia esso un supermercato, una enoteca o un ristorante. Personalmente non ragiono più attorno al superamento o meno dei supermercati-ipermercati verso le enoteche, o sulla competizione gdo-ristorazione. Le formule commerciali sono sempre più ibride e tendono a convergere verso le aree di interesse multiplo che le persone esprimono: siamo tutti interessati a esperienze di acquisto piacevoli, che ci permettano il risparmio di tempo ma anche la comodità e l’appagamento estetico, la sicurezza, l’informazione e l’educazione verso ciò che stiamo acquistando. I luoghi che sanno dare queste risposte non saranno in crisi e non saranno sostituiti”.
Nondimeno, però, non è semplice per un produttore di vino approcciarsi alla gdo, tra rapporti di forza spesso squilibrati, quantità di prodotto minime necessarie non sempre alla portata e così via. “Questo dipende da come viene impostata la strategia di sviluppo commerciale e dal posizionamento del prodotto. Occorre, comunque, considerare che la Gdo, per intenderci i supermercati e gli ipermercati, sono solo un aspetto di quello che ora è un più ampio insieme di tipologie commerciali che devono entrare a far parte della strategia commerciale di una azienda vitivinicola: mi riferisco a tutte quelle forme di commercio organizzate con la centralizzazione degli acquisti e che poi raggiungono il consumatore finale sotto forme di catene di gourmet store o di fashion restaurant. La logica della Gdo di centralizzare acquisti e logistica e di disporre di numerosi punti vendita aumentando il potere negoziale verso i fornitori, si diffonde sempre di più superando il semplice e tradizionale formato del supermercato o dell’ipermercato e coinvolgendo le catene di ristoranti, o di negozi gourmet che si diffondono sempre più”.
In ogni caso, nonostante, spiega Rocchelli, l’introduzione dell’articolo 62 sui tempi di pagamento abbia migliorato nettamente le cose in questo senso, il rapporto tra produttori e grande distribuzione rimane storicamente po’ spigoloso. “Tutte le negoziazioni hanno delle spigolosità, ma nella nostra esperienza si trova sempre il punto di incontro soddisfacente. Ora poi ci siamo abituati, complice la crisi, a sperimentare una certa predisposizione del consumatore alla multicanalità, alle vendite on-line, a una maggiore selettività verso le offerte e verso le proposte che vengono esposte sugli scaffali dei supermercati. Intendo dire che anche la Gdo tradizionale si accorge che deve fare attenzione e che se non propone qualità vera e riconoscibile sui suoi scaffali, semplicemente perde la fiducia delle persone le quali hanno oggi la possibilità di rivolgersi altrove, anche all’on-line che oggi è davvero una opzione sempre più concreta, anche per prodotti come il vino e l’alimentare in genere”.
Insomma, il futuro del vino nella grande distribuzione, “è legato a quello che sarà il futuro della gdo in generale. Torno a dire - conclude Rocchelli - che dobbiamo guardare a questo canale di vendita come ad una esperienza in continua evoluzione che sempre più si contaminerà con altre aree ora solo contigue: la ristorazione, il benessere, i servizi alla persona, il tempo libero, l’informazione. Il punto è quanti sapranno rispondere positivamente alla evoluzione del comportamento di acquisto, in quanti cioè sapranno creare luoghi in cui le persone abbiano la voglia di recarsi per acquistare vino e tutto ciò che gli interessa o di cui hanno bisogno e di farlo i modo piacevole e conveniente secondo le loro necessità”.
I vini restano tra gli alcolici la categoria a più basso mordente inflattivo. Uno 0,6% di crescita tendenziale, che si rapporta al +0,9% delle birre e al 2% tondo degli spirits
Prezzi al consumo sull’ottovolante. Uno 0,4% di riduzione a novembre, rispetto al mese precedente, che segue il più 0,2% di ottobre.
Movimenti repentini e di segno opposto, da un mese all’altro, che testimoniano la situazione di forte instabilità del quadro inflattivo in Italia. Il tutto in una fase di accentuata volatilità dei listini sui mercati internazionali delle commodity, ad iniziare dai prodotti del comparto energy che, insieme agli alimentari, spiegano buona parte di questi continui cambi di direzione.
Il brusco ritracciamento di novembre ha ricondotto il tasso di inflazione vicino alla linea dello zero. Uno 0,1% di crescita, in base ai dati definitivi dell’Istat, che elide due decimi di punto dal risultato di ottobre, mese in cui il caro-vita si era inaspettatamente portato al più 0,3%, toccando il massimo dal giugno 2014.
Quello che sembra ormai acquisito è che l’inflazione del 2015 non andrà oltre lo 0,1%, salvo sorprese dell’ultim’ora.
In questo scenario di calma piatta e di prezzi al consumo “anestetizzati”, il comparto alcolici mantiene una dinamica decisamente più sostenuta, con l’inflazione di reparto allo 0,8% (era al più 0,9% a ottobre), più vicina a quella “di fondo” (+0,7%) che l’Istituto nazionale di statistica calcola al netto dei prodotti a più alta volatilità, rappresentati dagli alimentari non lavorati e dei beni energetici.
I vini restano tra gli alcolici la categoria a più basso “mordente inflattivo”. Uno 0,6% di crescita tendenziale (rispetto cioè a novembre 2014), che si rapporta al più 0,9% delle birre e al 2% tondo degli spirits.
Anche nelle sue diverse componenti lo scontrino enologico non subisce sostanziali scossoni rispetto alle indicazioni di ottobre. Lo 0,6% di aumento complessivo di vini e spumanti rilevato a novembre conferma il dato tendenziale del mese precedente. Le denominazione di origine accelerano però all’1,1%, dall’1% di ottobre, mentre gli spumanti rallentano all’1%, dall’1,2%. Resta invece deflattiva la dinamica dei prezzi al consumo delle etichette da tavola, vendute (mediamente) a sconto dello 0,2% rispetto a novembre di un anno fa.
Se vini, birre e superalcolici si smarcano da una tendenza inflattiva generale molto più moderata, la divergenza appare ancora più evidente per i prodotti alimentari, bevande analcoliche incluse, la cui inflazione di reparto (+1,5%) resta la più elevata, insieme a quella del capitolo istruzione, sotto la spinta di frutta e ortaggi, oli di oliva, pasta e prodotti ittici.
Da rilevare, sempre nell’ambito food & drink, una miniripresa dell’inflazione anche nel fuori-casa, con il conto al ristorante rincarato in un anno dell’1,1%, il tasso più elevato dal giugno 2014.
p.f.