Infowine18.12: politica, cina, strade del vino

C’è interesse della politica per il vino italiano

C’è interesse della politica per il vino italiano: dal Testo Unico pronto in prima lettura alla Camera per Vinitaly, all’elezione a Patrimonio che mette d’accordo deputati e senatori, il 2016 sarà più importante del 2015 di Expo. Così da Montecitorio

Il mondo del vino italiano accolto ieri a MontecitorioUn interesse così da parte della politica per il vino italiano, forse, non si era mai visto. Tanto che se “in questi ultimi due anni abbiamo lavorato per Expo, dove il Padiglione del Vino italiano, che ha dato grande valore aggiunto e ha aperto riflessioni nuove su territori, paesaggio e produzioni, ha rappresentato solo un punto di partenza, ora dobbiamo accelerare: il 2016 sarà un anno ancora più intenso del 2015, anche senza Expo, perché dovremo avere costanza politica più lunga in progetti che non durino solo sei mesi. Ribadisco il mio impegno perchè il Testo Unico sia fondamento della strategia politica italiana e di collaborazione tra Governo e Parlamento. Il testo è solido, giusto approfondire e migliorare ancora, il confronto non è chiuso, ma siamo indirizzati ed io ci sarò fino in fondo perchè penso che sia una svolta importante nella semplificazione del settore e per competere di più. Ma nel 2016 ci impegneremo anche nel riconoscimento del vino italiano a Patrimonio culturale del Paese, a 90 anni dalla nascita di Luigi Veronelli. Il vino è paradigma della possibilità di ripresa e crescita del Paese, per questo è strategico valorizzare questa storia straordinaria”. Così il Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, ieri alla Camera dei Deputati a Roma, dove le “alte cariche” istituzionali dell’agricoltura, dal presidente della Commissione Agricoltura di Montecitorio Luca Sani a quello della Commissione Agricoltura del Senato Roberto Formigoni, hanno fatto il punto sulle prospettive future del vino italiano - settore che per l’Italia vale oltre 14 miliardi di euro - dopo l’Expo 2015 Milano.
Un 2015 che per il vino italiano non solo segnerà, molto probabilmente, il nuovo record all’export di 5,5 miliardi di euro, ma che è stato anche l’anno in cui il vino è stato per la prima volta ufficialmente rappresentato in un’Esposizione Universale. E nel suo futuro c’è il potenziamento di tutti questi aspetti, dal quello economico ed occupazionale, a quello culturale, con la nuova legge quadro per rendere più competitivo il comparto, il Testo Unico del vino italiano che, secondo le previsioni, sarà licenziato in prima lettura alla Camera per il Vinitaly n. 50, e la diffusione della sua cultura con il riconoscimento a Patrimonio del Paese, che mette tutti d’accordo, dai deputati ai senatori.
“Dobbiamo capire come valorizzare meglio il made in Italy nei mercati del mondo, ambasciatore agroalimentare ma anche culturale - ha detto Sani - avremo successo se riusciamo a raccontare la cultura che c’è dietro. Verso l’agricoltura c’è attenzione da parte dei giovani, come dimostrano gli iscritti sempre più numerosi agli Istituti tecnici e alle Università e l’accesso ai bandi delle Regioni: sono loro che dovranno raccontare a 360° i tanti temi che ruotano attorno all’agricoltura, dalla biodiversità e l’ambiente alla sicurezza alimentare. Il vino è il prodotto che più di ogni altro li riassume in sé. Così si vince la competizione mondiale, e su questo vogliamo investire come istituzioni”.
L’agenda di Governo del vino italiano illustrata dalle alte cariche dell’agricoltura Istituzioni che, ha ricordato Sani, da tempo hanno avviato l’esame sul Testo Unico, “su cui stiamo lavorando da oltre un anno, con i suoi 82 articoli che chiedono un confronto costante tra il relatore Massimo Fiorio, il Ministero delle Politiche Agricole e la filiera, per dare maggiore competitivià ad un settore anche attraverso la sua sburocratizzazione. Entro Vinitaly vogliamo licenziarlo in prima lettura alla Camera. La proposta di legge Sani per il riconoscimento a Patrimonio nazionale, sull’esempio di Francia e Spagna, è affidata invece alla Commissione Cultura, ma la vogliamo in sede congiunta con l’agricoltura per dare il nostro contributo. Va riconosciuta questa specificità del vino, diverso da altri alimenti per quello che racconta del nostro Paese, e per formare meglio i professionisti che lo racconteranno a partire dalle scuole. Con la comunicazione sulla cultura del bere, e rispondo alle associazioni anti alcol, noi non vogliamo promuovere il consumo di alcol, ma la cultura che c’è nel vino, e questo può aiutare anche contro lo sballo”.
“Abbiamo questi due percorsi aperti - ha ricordato Massimo Fiorio - segno anche della dinamicità del settore, il più dinamico dell’agricoltura, vorrei che tutta l’agricoltura fosse così. Il Testo Unico è tecnico, ma è anche un documento politico, segno che il Paese investe in questo settore. Le questioni aperte sono tante, ma non siamo in ritardo perchè c’è un confronto attivo con la filiera. A gennaio consegneremo al Senato un Testo quasi da adottare completamente”.
“Stiamo lavorando in perfetta in sintonia - ha sottolineato Formigoni - come in Expo che è stata un successo, il Padiglione vino lo è stato, dimostrando che se in Italia le cose si vogliono fare si possono fare anche se si lavora con visioni diverse, anche politiche. Ora siamo qui a riflettere su cosa trarre da questo sforzo. A partire da riconoscere il vino come un prodotto culturale, che arrichisce la nostra identità nazionale, come prospettiva di lavoro per giovani. E di pari passo risolvere criticità, dalla contraffazione alle tante battaglie da vincere in Europa”.
“Parlare di vino è anche parlare di cultura, oltre che di mercato e produzione - ha ribadito anche Flavia Piccoli Nardelli, presidente della Commissione Cultura Scienza Istruzione della Camera - è un momento di grande cambiamento per il Paese, le Commissioni lavorano insieme, scuole e cultura si potenziano a vicenda, si sta portando avanti anche un lavoro di sistema pubblico-privato. La proposta Sani per il riconoscimento del vino a Patrimonio del Paese è nella nostra Commissione, è rappresentativa di un percorso storico unico, ma è anche un’innovazione significativa: il nostro patrimonio culturare è cresciuto negli anni, perché si è passati dai monumenti ai paesaggi, fino ai beni materiali ed immateriali. Oggi c’è sensibilità anche per usi, costumi e tradizioni, e il vino li rappresenta meglio di tante altre cose, dimostra anche il riconscimento a Patrimonio Unesco delle Langhe, Roero e Monferrato”.
“La politica ha capito l’importanza che si deve dare al vino - ha sottolineato l’enologo Riccardo Cotarella, presidente Assoenologi e alla guida del Comitato del Padiglione Vino a Expo - che non è solo il principe dell’agroalimentare, ma tra i prodotti più importanti di tutto il made in Italy. E questo non ci meraviglia soprattutto dopo il successo del Padiglione Vino a Expo. L’eredità che ci lascia? Abbiamo un potenziale di interesse pazzesco nelle nuove generazioni, come hanno dimostrato i giovani visitatori. Ma anche che c’è tanta mancanza di cultura e noi siamo chiamati a colmare questa lacune. L’impegno di sarà quello di spingere sull’ingresso dell’insegnamento della cultura del vino nelle scuole”. Sono “50 i milioni di italiani che non sanno cosa è il vino - ha ricordato Franco Maria Ricci, alla guida della Fondazione Italiana Sommelier - nelle scuole alberghiere e turistiche non se ne parla, le tv pubbliche e private hanno fasce protette in cui non si può parlare di vino. Il vino fa male? No, è un angelo, non un diavolo. Ma gli italiani non lo sanno, e non conoscono la geografia del vino. La cultura del vino rappresenta il Paese, vuol dire spiegarlo ai bambini a scuola, vuol dire via la fascia protetta. Raccontarla è il sogno in cui credeva Veronelli e che ho io, e lo sto vedendo realizzarsi”.
L’incontro a Montecitorio è stato anche l’occasione per fare un bilancio sul 2015 che sta per chiudersi e che ha dimostrato come “il vino italiano abbia leve fondamentali, ma dobbiamo lavorare ancora di più sull’internazionalizzazione - ha concluso il Ministro Martina - l’anno di Expo segnerà un nuovo record all’export e siamo in linea con l’obiettivo 50 miliardi di euro nel 2020. Il segnale che stiamo dando sui fondi Ocm è importante, ma si può fare di più, anche se abbiamo utilizzato il 99% delle risorse a disposizione. Abbiamo fatto scelte importanti anche sui diritti di impianto e sulla loro trasferibilità tra Regioni, ma ci sono tante cose da fare ancora. La dematerializzazione dei registri è una fase di grande modernizzazione, ha delle difficoltà, ma è indiscutibilmente utile. Ma bisogna lavorare di più sul pubblico e su certi meccanismi che sono duri da cambiare. Abbiamo fatto cose importanti sul fronte dei controlli, dai wine kit bloccati agli accordi con Alibaba e eBay per la tutela del vino in rete, e in questo siamo pionieri. Ma interessano il mondo del vino anche la Legge sulla tutela del suolo ed altre iniziative legislative che guardano al futuro”.


Cina, primo consumatore di vino

Al mondo, ed entro il 2027. La previsione è stata fatta dal gruppo francese Coface. Già adesso è il secondo produttore, ma la qualità è bassa

 La Cina è il nuovo gigante mondiale del vino. Dopo essere diventata il secono produttore del pianeta, sarà il paese dove se ne berrà di più al mondo nel 2027, secondo le previsioni del gruppo francese Coface. E i produttori cinesi, per imporsi, faranno una concorrenza spietata a quelli europei. Nel 2027 la Cina sorpasserà i paesi di testa nella classifica dei produttori: Francia, Italia, Germania e Stati Uniti, ma la qualità del suo vino resterà alquanto bassa. Con il raddoppio del consumo, intorno ai 30 milioni di ettolitri (circa 2 litri per abitante all'anno, contro più di 40 litri a testa ogni anno in Francia) la Cina è a ridosso, gomito a gomito, con gli Stati Uniti. La Cina è al quinto posto nella classifica mondiale di consumo di vino con 16 milioni di ettolitri nel 2014. Attualmente gli Usa, insieme a Francia, Italia e Germania si spartiscono quasi la metà del consumo mondiale di vino, secondo i dati dell'organizzazione internazionale della vigna e del vino (Oiv). Tre fattori spiegano questa crescita esponenziale. II primo è demografico. L'urbanizzazione in Cina continua a crescere insieme al miglioramento della qualità della vita, secondo gli esperti di Coface, e attualmente il 56% dei cinesi vive in città. Nel 2027 la percentuale salirà quasi all'80% come in Europa e negli Stati Uniti. La seconda ragione è economica. In Cina esiste una lasse media sempre più numerosa che pub permettersi il vino, che resta un prodotto relativamente caro quando corrisponde agli standard internazionali. La terza ragione, la più inattesa, è culturale. II consumo di vino, soprattutto rosso, è assimilata in Cina a un fattore positivo per la salute, specialmente per la frequenza cardiaca. Per rispondere a questo entusiasmo, la Cina ha piantato vigneti in enorme estensione, al punto da diventare l'anno scorso il secondo produttore del mondo, dietro la Spagna, ma davanti alla Francia, con all'incirca 800 mila ettari coltivati, all'incirca 1'11% della superficie mondiale contro il 4% quale era quella di dieci anni fa nel paese. Resta il fatto che la Cina non produce abbastanza vino di qualità per soddisfare la sete galoppante dei propri abitanti. La produzione si attesta intorno ai 11,2 milioni di ettolitri nel 2014 e dunque la Cina ha importato all'incirca 5 milioni di ettolitri. La qualità del vino cinese migliora ma i viticoltori miscelano la loro produzione locale con quella di importazione sciolta. Inoltre, la grande maggioranza dei viticoltori produce uva da tavola. Inoltre, bisognerà aspettare cinque anni perché le nuove vigne diano frutti. Una concorrenza sempre più spietata per i produttori del vecchio continente. L'Europa, leader del commercio del vino, deve preoccuparsi di fronte alla crescita dei vini del nuovo mondo. Gli accordi di libero scambio fra la Cina e l'Australia, il Cile, la Nuova Zelanda favoriscono questi paesi esportatori di vino che sono esonerati dalle tasse e creano una nuova concorrenza agli esportatori tradizionali sul segmento basso e medio. Tuttavia, il margine di manovra per i produttori del vecchio continente resta importante. I tre paesi top dell'export di vino europeo coprono i due terzi delle esportazioni in valore e in volume. Fra questi, la Francia, che segue una politica della qualità a discapito della quantità, ha ancora una bella carta da giocare. In più, i produttori commercializzano le proprie bottiglie passando da Hong Kong per ottimizzare i diritti doganali. Tenendo conto che Hong-Kong pratica una politica di esonero di diritti doganali con numerose regioni cinesi, la parte dei vini francesi, alcuni in calo dal 2011, rappresenta il 43% del totale delle importazioni cinesi in valore e il 33% in volume, secondo gli economisti di Coface. In questa situazione, la concorrenza del vino cinese, orientata verso la qualità bassa e media, non penalizza il vino europeo ad eccezione della Spa.

 

Autore: SIMONETTA SCARANE

Fonte: ItaliaOggi


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