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Nessuna fusione di Comuni tra Montalcino, terra del Brunello, e San Giovanni dAsso, patria del tartufo bianco; in ogni caso, nessun allargamento del territorio di produzione del rosso toscano. Così sindaco Montalcino e presidente Consorzio Brunello
Nessun allargamento della zona di produzione del Brunello, anche se venisse annesso al Comune di Montalcino, quello di San Giovanni D'AssoNessuna fusione di Comuni, almeno nell’immediato, tra Montalcino, terra del celebre Brunello, uno dei più grandi vini d’Italia e del mondo, e San Giovanni d’Asso, dove nasce il pregiato Tartufo delle Crete Senesi, come paventato dai media toscani. E, in ogni caso, nessuna possibilità di allargamento della zona di produzione del Brunello di Montalcino. Lo spiegano, a WineNews, il sindaco di Montalcino Silvio Franceschelli ed i vertici del Consorzio del Brunello di Montalcino.
“Esiste già un percorso per costituire un’associazione di servizi tra le amministrazioni di Montalcino e San Giovanni d’Asso - precisa Franceschelli - che porterà i due Comuni a ribadire, comunque, una loro autonomia amministrativa”. Ma nessuna fusione, ad ora, anche se l’ipotesi di una “annessione” del Comune di San Giovanni d’Asso, che conta nemmeno mille abitanti, a quello di Montalcino, che ne fa poco più di 5.000, rimane all’orizzonte, seppur lontana. “Ma, in ogni caso, anche se questo si concretizzasse, non ci sarebbe - commenta secco il presidente del Consorzio, Fabrizio Bindocci - nessun allargamento della zona di produzione e nessun aumento degli ettari vitati a Brunello di Montalcino”.
“Non se ne parla - continua il presidente del Consorzio del Brunello, Fabrizio Bindocci - le zone di produzione del Brunello rimarranno le stesse di ora. Abbiamo addirittura scelto di diminuire le rese per la vendemmia 2015 da 80 quintali ad ettaro (come da disciplinare) a 75 quintali/ettaro. Questo per garantire qualità del prodotto ed un numero di bottiglie congruo a non far scendere i prezzi del nostro vino. Non avrebbe, dunque, veramente senso andare ad aumentare le superfici vitate”.
“Nella proposta di modifica del disciplinare di produzione della denominazione di origine controllata e garantita del vino “Brunello di Montalcino”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 3 agosto 2015 - dice Giampiero Pazzaglia, consulente del Consorzio del Brunello di Montalcino - è espressamente chiaro che il territorio di produzione delle uve atte a produrre il vino a Denominazione di Origine Controllata e Garantita “Brunello di Montalcino” comprende l’intero territorio amministrativo del Comune di Montalcino, in provincia di Siena, così come delimitato alla data dal 30 novembre 2011 (data di approvazione del disciplinare di produzione consolidato). E, anzi, nessun ampliamento della superficie vitata è previsto nemmeno entro i limiti già prefissati, fino al 2016”.
“Il territorio di produzione del vino Brunello di Montalcino, che corrisponde all’area del Comune di Montalcino in provincia di Siena - si legge ancora sulla Gazzetta Ufficiale - si trova nella Toscana sud-orientale a 40 chilometri a sud della città di Siena. Il territorio di produzione, che ha una superficie complessiva di 243,62 chilometri quadrati, è delimitato dalle valli dei tre fiumi Orcia, Asso e Ombrone, assume una forma quasi quadrata, i cui lati misurano mediamente 15 chilometri”.
Insomma, i confini del Brunello sono chiari, e tali rimarrebbero, anche se ci fosse una fusione tra Comuni che ad ora, è poco più che un’idea ...
Fonte: Winenews
I dati sui primi 5 mesi del 2015 mostrano una situazione in chiaro-scuro: crolla la Russia, recupera la Cina, tengono gli Stati Uniti. Per lItalia continua la corsa del Prosecco in UK e Nord America, rallentano i vini fermi imbottigliati mentre cala lo sfuso ad opera di una Spagna che cresce ancora in questo segmento.
L’import mondiale di vino dei primi 5 mesi del 2015 evidenzia luci ed ombre. Le luci riguardano una ritrovata Cina i cui flussi di importazione – dopo un deludente 2014 – sembrano essersi ripresi in maniera convinta (+51% in valore, +38% in volume rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), le ombre invece sono tutte posizionate sulla Russia che, all’opposto, vede crollare gli acquisti di vino dall’estero di oltre il 35% in valore e del 25% nelle quantità.
“La svalutazione del rublo conseguente al calo del prezzo del petrolio ha messo in crisi gli importatori russi” afferma Denis Pantini, Responsabile di Nomisma Wine Monitor. “Essendo il petrolio una delle principali risorse del paese, più che le sanzioni europee legate alla crisi russo-ucraina è stato il crollo dei prezzi dell’oro nero a ridurre la capacità di spesa dei russi. E questo stallo dell’economia e dei consumi di vini esteri rischia di durare ancora a lungo”. Le previsioni degli economisti indicano un prezzo del petrolio ancora basso per altri due anni, una stima la cui validità è stata rafforzata dal recente accordo sul nucleare iraniano tra i cui effetti figura la ripresa dell’export di questa commodity da parte di uno dei principali paesi produttori a livello mondiale, con conseguente aumento di prodotto in un mercato già in eccesso di offerta.
Risultato: in un mercato in cui le importazioni di vino sono cresciute del 122% in appena cinque anni (tra il 2009 e il 2014), il sogno riposto dagli esportatori di vino di tutto il mondo di un nuovo Eldorado rischia letteralmente di svanire. Anche per i vini italiani il calo in Russia è stato notevole e analogo alla media: guardando ai soli vini confezionati, l’import in valore dall’Italia è calato del 36%. Non che i competitor siano andati meglio. La Francia ha subito una riduzione del 45%, rendendo chiaro come la crisi abbia colpito per primi i vini posizionati su livelli di prezzo mediamente alto.
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Ma questa riduzione dei prezzi delle commodity non ha avuto effetti solo sul rublo: Nuova Zelanda, Australia, Brasile stanno vivendo – seppur in modo meno traumatico e repentino – un’analoga svalutazione delle proprie valute. In questi casi e in particolare per Nuova Zelanda e Australia, due dei principali esportatori di vino a livello mondiale, la riduzione del potere di acquisto della propria moneta non può che favorire la competitività dei propri vini, rendendo così la vita più complicata ai produttori italiani ed europei.
Al contrario della Russia, l’altro grande mercato emergente per antonomasia e cioè la Cina, sembra essersi ripreso dal calo registrato nel 2014. I primi cinque mesi del 2015 mostrano una crescita del valore dell’import di vino pari ad oltre il 50%, trainato soprattutto dai vini fermi e dagli sfusi. In questo caso è l’Australia a fare la parte del leone (+134%), mentre i vini italiani si devono accontentare di un +18%. A questo punto, l’auspicio di tutti è che questa tendenza possa consolidarsi e che la tanto temuta “bolla speculativa” che aleggia sul mercato azionario cinese non abbia ripercussioni sull’economia reale del paese.
Lasciando da parte gli emergenti e volgendo uno sguardo ai mercati più consolidati vale la pena segnalare il + 23% del valore delle importazioni negli Stati Uniti collegato ad un +2% dei volumi (evidenziando in tal modo come più che di crescita si debba parlare di tenuta derivante dalla rivalutazione del dollaro nei confronti dell’euro, visto che tale aumento valutato nella moneta locale si traduce in una leggera riduzione del -0,5%). In questo caso, le performance dei vini italiani sono superiori alla media del mercato, evidenziando una crescita nei volumi del 10%, soprattutto grazie al “fenomeno” Prosecco che ha trainato l’import di spumanti italiani fino a registrate un +48% di maggiori quantità. Un successo di mercato che sta interessando anche il mercato inglese, dove questo vino sta letteralmente spopolando: +64% le quantità importate in questo frangente di 2015 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Infine, uno sguardo al segmento del vino sfuso. “Dopo aver inondato nel 2014 il mercato mondiale con la propria sovrapproduzione derivante da una più che generosa vendemmia 2013 – trainando così al ribasso i prezzi di tutti gli sfusi, italiani compresi – , la Spagna non sembra ancora appagata” conclude Pantini “ed anche in questo scorcio di 2015 si mette in luce con una crescita nei volumi esportati di vino sfuso pari al 19%, continuando parallelamente nella propria strategia di riduzione dei prezzi di vendita (-14% rispetto all’anno passato)”.
Fonte: Winemonitor