Secondo l'ultimo report realizzato dall'area Reasearch di Banca Mps, la terra da vino è uno dei pochi beni che si sono rivalutati oltre ogni previsione. E si trovano buone occasioni soprattutto al Sud.
Quanto è verde la mia vigna, quanto è cara la mia terra. nvestire nel vino è sempre più redditizio, soprattutto per chi, disponendo dei capitali sufficienti, ha comprato un vigneto intero o una quota. E' quanto emerge dall'ultimo report realizzato dall'Area Research di Banca Mps, da sempre molto attenta al settore agricolo, in particolare a quello della produzione del vino, considerata la radice dell'istituto, con il suo quartier generale a Siena, e presenza consolidata localmente attraverso acquisizioni in diversi territori particolarmente vocati all'enologia.
Da Piemonte al Veneto, dalla Valle D'Aosta alla Sicilia, la terra vitata batte ogni crisi. Mentre i terreni agricoli comuni negli ultimi anni hanno subito una erosione dei prezzi, le quotazioni dei vigneti si tengono alte. Soprattutto al Nord, dove si avverte un continuo incremento. Al Sud, in particolare in Sicilia, non si percepiscono apprezzamenti sensibili, ma le quotazioni sono stabili e il trend fa stimare per il futuro una crescita. Come dire: se vuoi comprare guarda da Roma in giù, oggi puoi trovare una buona occasione che domani ti ripagherà. Quando si parla di investimento nel vino, oggi, in Italia, si guarda ancora alla rendita fondiaria. Le nostre aziende, infatti, sono in media ancora troppo piccole per rispondere a una serie di requisiti fondamentali per l'approdo in Borsa e il conseguente apporto di capitali attraverso azioni. Mentre le grandi sono restie all'approdo al listino. Diversi i fattori da prendere in considerazione per valutare le potenzialità e gli eventuali rischi di una rendita fondiaria legata alla produzione di vino. La tenuta delle vendite è la prima garanzia, e l'export che traina i fatturati del Made in Italy in bottiglia, continua a crescere. Più le etichette sono pregiate, maggiore il valore della terra. Un esempio: il Barolo, si sa, è tra i più famosi al mondo e chi ha investito nella bassa Langa ha fatto un buon affare. Alba e dintorni, sono le aree che per prime, insieme ad alcune zone toscane, hanno conquistato il mondo. E negli ultimi anni alcuni cru, gli appezzamenti migliori, hanno toccato la vetta di 750mila euro all'ettaro. Altro caso da manuale, il Brunello di Montalcino, Siena: mentre l'indice dei terreni agricoli della Toscana è salito del 21% ma nel 2013 ha iniziato a puntare verso il basso sotto 150 punti, l'indice dei vigneti del Brunello è schizzato oltre i 370 e i prezzi per ettaro viaggiano oggi tra i 300 e i 450 mila euro per ettaro. Ma pian piano altre varietà si sono fatte strada sui mercati mondiali. Il boom del Prosecco, per esempio, ha portato la quotazione media per ettaro dei terreni di Valdobbiadene, nel trevigiano, a 405 mila euro a ettaro. Un poco al di sotto delle terre di Barolo e quella del Lago di Calda-ro, in Alto Adige, zona alpina generosa di rossi da Schiava ma anche da Cabernet Sauvignon, di bianchi fruttati da Sauvignon o Gewurztraminer che costa 500 mila all'ettaro. Ora anche il Franciacorta, le bollicine del bresciano adottate come vino ufficiale di Expo 2015, stanno marciando alla conquista dell'estero e i vigneti dove si produce questa tipologia di vino si stanno apprezzando. E che dire dei Colli Euganei, vicino Padova, dove si produce il Soave: è uno dei trenta luoghi al mondo da scoprire secondo Wine Spectator, considerata la bibbia del settore. La rivista americana sostiene che il grande bianco italiano per la complessità raggiunta è un vino che soddisfa il consumatore evoluto, sempre a caccia di qualche cosa di inatteso ed emozionante. Ancora una volta una conferma che il vino italiano ha qualcosa di unico e non riproducibile da altri paesi: i territori, appunto. I vigneti. Ha preso quota anche la zona dello Chambave in Valle d'Aosta. vigneti eorici li definiscono perché inerpicati sulle montagne. Fa salire le quotazioni delle sue terre anche il Teroldego Rotaliano, rosso indimenticabile dell'area vicino Trento. Non basta una generica qua-lita del prodotto. E' la vocazione di prestigio, sostengono gli studiosi di Banca Mps, a incidere sul valore dei terreni. L'esplosione delle vendite all'estero, che ha fatto seguito all'incremento del prestigio delle etichette, ha contribuito sensibilmente all'incremento dei prezzi. Gli effetti della variazione di valore incidono a loro volta in maniera significativa sul patrimonio a disposizione dei proprietari e quindi sull'accesso al credito e sulla possibilità di avviare nuovi progetti di sviluppo. Il fattore principale nella determinazione dei patrimoni fondiari è il valore attuale del flusso di affito, una misura del rendimento che deriva dall'uso dei terreni stessi.
Autore: p. jad.
Fonte: Repubblica Affari e Finanza
I dati sul settore segnalano la voglia di rilancio, ma pesano gli effetti delle inutili tasse sullalcol. Riconfermati i vertici dellAssociazione in occasione dellAssemblea. I segni della ripresa ci sono, a bloccarci sono fisco e burocrazia. Così Antonio Emaldi, appena riconfermato alla presidenza di AssoDistil, disegna lo scenario del comparto distillatorio italiano, diviso tra le opportunità di crescita e le difficoltà del sistema Italia.
A testimoniare la solidità della sua tesi, sono i dati dell’Osservatorio congiunturale di AssoDistil sul I trimestre 2015, realizzato dalla società Format. L’inchiesta traccia il quadro di un comparto già impegnato a cogliere e valorizzare i primi segnali della ripresa, ma che, al tempo stesso, appare indebolito dalle accise sull’alcol, aumentate ben quattro volte nel giro di un anno.
Circa la metà delle aziende del settore ha sofferto l’aumento delle accise: di queste, otto imprese su dieci hanno accusato la riduzione dei fatturati. In media, si tratta di una flessione di oltre 10 punti percentuali. Al riguardo, suscitano forti perplessità i dati sul gettito: la stangata delle accise nel 2014 con aumenti dell’aliquota di quasi il 20%, ha fatto aumentare il gettito del solo 2% rispetto al 2013, come indicato dai dato del ministero dell’Economia. A fronte di un risultato così modesto, il comparto dei distillati ha visto calare l’immissione sul mercato dei suoi prodotti (-10%).
“Qualcuno al governo prima o poi si accorgerà dei dati del Ministero dell’Economia – commenta Emaldi –. Noi continuiamo a credere nel settore: la rilevazione dell’Osservatorio ci dimostra che investiamo più della media delle altre imprese italiane e che crediamo in un miglioramento dello scenario economico e dei nostri ricavi”. Secondo l’indagine di Format Research, infatti, il 75% delle distillerie ha effettuato investimenti negli ultimi due anni, mentre il 65% li ha in programma nel prossimo biennio: una percentuale sconosciuta al resto del panorama economico italiano.Stabili, nonostante la crisi, anche i livelli occupazionali. Quanto al credito, aumentano le aziende che chiedono finanziamenti (22%) e ben quattro su dieci ottengono dalle banche l’intero ammontare richiesto.
In occasione dell’importante appuntamento, oltre al presidente Emaldi l’Assemblea ha riconfermato i vertici dell’Associazione: Cesare Mazzetti, presidente del Comitato Nazionale Acquaviti, Antonina Bertolino, presidente della sezione alcole da vino, Giuliano Sacchetto, presidente della sezione alcole da melasso e da frutta, e Luciano Grilli, presidente della sezione acido tartarico. Nel direttivo di AssoDistil entra per prima la volta anche Montenegro Srl, con il proprio manager Roberto Carroli.
Ufficio stampa: Silvia Cerioli
Lo scandalo enologico del 18 giugno non è il primo e nemmeno sarà lultimo, ma sicuramente è uno tra i più ampi di sempre per il nostro paese. La Guardia di Finanza ha diramato dati impressionanti: oltre 310 mila ettolitri di vino sequestrato, 2.730 quintali di zucchero scovato in unimportante cantina dellEmilia Romagna.
Possiamo semplificare il discorso dicendo che si tratta del sequestro di 41.300.000 bottiglie potenziali. Più di tutta la produzione annuale di Barolo e Brunello. Se poi andiamo a considerare lo zucchero stoccato, la notizia sembra ancora più paradossale. La presenza di zucchero nelle cantine, infatti, è vietata per legge; solo nel caso in cui un’azienda produca spumanti può acquistare zucchero, ma dichiarando all’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari, in modo preventivo, il giorno e l’ora del suo ingresso nei locali di vinificazione. A questo punto vanno fatte due considerazioni. La prima, quella più tranquillizzante, è che non siamo di fronte a una sofisticazione che mette a rischio la salute dei consumatori. La seconda è che probabilmente ci meritiamo scandali di questo tipo. Quando vediamo gli scaffali della grande distribuzione carichi di brick venduti a meno di un euro al litro qualche dubbio dovrebbe sorgere. Come si fa a commercializzare vino, ottenuto nel rispetto delle buone regole della filiera vitivinicola, a prezzi così bassi? Prezzi che sfiorano quelli dell’acqua minerale e sono inferiori, in molti casi, a quelli della birra industriale e delle bibite gassate. Il problema è alla base: il consumatore andrebbe educato, perché dietro la coltivazione della vite, la produzione dell’uva e la sua trasformazione in vino esistono costi produttivi che rendono difficilissimo l’abbattimento dei prezzi.
Autore: Giancarlo Gariglio
Fonte: La Stampa