Un coordinamento europeo per la ricerca nel settore vitivinicolo che possa essere assegnataria dei futuri fondi europei per l'innovazione.
Sta cercando di promuoverla la spagnola Plataforma T cnológicica del Vino (Ptv). Come ha riferito a Efeagro, Fernando Pozo, presidente del Ptv e direttore operativo di Pernod Ricard Winemaker, che sta prendendo contatto con gli operatori vitivinicoli italiani e francesi, dovrebbe trattarsi d'un organismo sovranazionale, partecipato da chi opera nella filiera in Europa, con personalità giuridica che le permetta d'accedere ai fondi che l'Ue assegnerà per promuovere progetti di ricerca e innovazione. Pozo conta, nel giro d'un anno, d'aver posto le basi per la nascita della piattaforma di coordinamento europea del vino. Per convincere i suoi interlocutori, porta la positiva esperienza della Ptv, nata nel 2011 e che nei suoi primi 3 anni d'attività è riuscita a coinvolgere cantine, consorzi di tutela di vini Doc e Docg, organizzazioni interprofessionali, università, centri di ricerca e imprese di servizio alla filiera vitivinicola e a far partire 34 progetti di ricerca, che si sono visti riconoscere finanziati pubblici per 16 min euro.
Luisa Contri
Fonte: Italia Oggi
Italia e Francia giù in volume ma su in valore, la Spagna cresce ma grazie allo sfuso, come Cile ed Argentina. Bene Usa, Australia e Nuova Zelanda. Lexport dei top player del vino nel primo quadrimestre 2015 by Rabobank nellanalisi WineNews
Il pensiero dei produttori del Vecchio Mondo, in questi mesi, è concentrato soprattutto a quello che succede in vigna, in vista della Vendemmia 2015. Ma non si può tralasciare il mercato, ovviamente, e visto che ormai quasi 4 bottiglie di vino su 5 consumate nel pianeta vengono dalle esportazioni, è interessante osservare come si sono comportati i Paesi più importanti del vino mondiale nel primo quadrimestre del 2015 sul 2014, come ha fatto la banca olandese Rabobank, nel suo “Wine Quarterly Q3 2015”, analizzato da WineNews.
L’Italia ha visto un -2,2% in volume, ma una crescita del 3,8% in valore, per l’effetto combinato del crollo dei vini sfusi e della crescita, in valore, dell’imbottigliato, soprattutto in Usa e Germania. Capitolo a parte per gli spumanti, che registrano +23,5% in quantità ed il +23,3% in valore. Stesso trend per la Francia: -2% in volume ma +6,3% in valore, con le incertezze dei mercati europei, Uk in testa, compensate dai migliori risultati in Usa e Asia, anche grazie al recupero dello Champagne. La Spagna, invece, vede crescere ancora le quantità di vino esportato, a +14,6%, ma con il valore che aumenta appena del 3,5%, perché a tirare la crescita è il +22,1% in volumi del vino sfuso esportato a prezzi sempre più scontanti, con i valori della categoria cresciuti appena del 4,7%. Trend nettamente inverso ai vini spagnoli imbottigliati a denominazione, cresciuti solo dello 0,5% in volume, ma del 5,9% in valore. Ancora, tra i Paesi dell’emisfero Nord del mondo, gli Usa si segnalano per una sostanziale stabilità dei volumi esportati, la crescita in valore è stata del 7%, trainata da mercati classici come la Germania, ma anche meno noti sulla scena vinicola, come Polonia e Germania.
Benissimo, sotto all’Equatore, l’Australia, che vede una crescita del +9,4% in volume e del 10,7% in valore, grazie all’Asia, Cina ed Hong Kong in testa, ma anche agli Usa e al Canada, mentre soffre il mercato Uk. E stesso trend vale per la Nuova Zelanda, che fa segnare il +11,4% in volume ed il +10% in valore. Non benissimo i più importanti esportatori di vino del Sudamerica, invece, dove, come accade in Spagna, una consistente crescita delle quantità è accompagnata da modesti aumenti, se non perdite, in valore, segno che a varcare i confini sono soprattutto grandi volumi di vino sfuso a prezzi sempre più bassi. Discorso che vale tanto per il Cile, che ha fatto +9,9% in quantità ma -0,5% in valore, che per l’Argentina, a +9% in quantità e a +1,2% in valore.
Lindice di fiducia dei consumatori italiani nel secondo trimestre 2015 si colloca in territorio positivo, facendo registrare un incremento di 2 punti rispetto al dato dello stesso periodo dellanno precedente (53 vs 51 del secondo trimestre 2014).
Nello stesso tempo si registra un calo di 4 punti rispetto al trimestre precedente, che aveva segnato un’impennata di 11 punti a livello tendenziale. L’indice di fiducia degli italiani si trova ancora lontano dalla media europea (79 punti) e da quello di Gran Bretagna (99), Germania (97) e Francia (66).
La percentuale di quanti si dichiarano preoccupati della sicurezza del posto di lavoro diminuisce rispetto all’anno precedente (24% secondo trimestre 2015 vs 30% secondo trimestre 2014) e al primo trimestre 2015 (28%).
In aumento (16% secondo trimestre 2015 vs. 14% stesso periodo 2014) su base annuale la quota degli italiani che ritengono quello presente il momento giusto per fare acquisti.
I dati emergono dalla Global Consumer Confidence Survey realizzata da Nielsen su un campione di 30.000 individui in 60 Paesi, tra i quali l’Italia.
“Dai dati della Consumer Confidence Survey – ha dichiarato l’amministratore delegato di Nielsen Italia Giovanni Fantasia – sono confermate le linee di fondo della transizione italiana. Si evidenzia un certo dinamismo che deve ancora trasformarsi in spinta propulsiva strutturata e organica. L’indice di fiducia si ripropone al di sopra dei 50 punti, un risultato sicuramente positivo che da quattro anni l’Italia non raggiungeva. Se non si può ancora parlare di svolta – ha aggiunto Fantasia – rimane tuttavia evidente, dopo la prima rilevazione positiva di inizio anno, il permanere di segnali che inducono a pensare all’imbocco di una ripresa nonostante le incertezze macroeconomiche che ancora rimangono. La sfida che il mercato del largo consumo si trova quindi ad affrontare è quella di sapere intercettare il rinnovato, seppure cauto, ottimismo degli italiani, facendo leva in modalità integrata su tutti gli strumenti di marketing, dal prezzo, alla distribuzione alla comunicazione. L’obiettivo – ha concluso Fantasia – è quello di sapere trasformare la visione positiva che si sta gradualmente diffondendo in una decisa ripresa dei consumi, che possa ridare fiato alla nostra industria, lasciandosi definitivamente alle spalle politiche di prezzo calmierate, che hanno caratterizzato il periodo della recessione”.
La percentuale di quanti ritengono il Paese ancora in recessione, si legge ancora nella Survey di Nielsen, ha imboccato un trend positivo, segnando una diminuzione di 5 punti nell’anno (90% secondo trimestre 2015 vs 95% secondo trimestre 2014 ) e di 3 punti nell’ultimo trimestre (93% nel primo trimestre 2015). Il 16% degli intervistati (era il 14% nel secondo trimestre 2014) dichiara che nel corso del prossimo anno si uscirà dalla crisi, evidenziando un maggiore ottimismo rispetto a Gran Bretagna (13%), Francia (10%) e Spagna (9%).
Aumenta la quota di quanti si dicono fiduciosi nella ripresa del mercato del lavoro (12% secondo trimestre 2015 vs 10% medesimo periodo 2014), anche se quella del lavoro rimane ancora la prima preoccupazione per il 24% degli italiani.
Tra le altre preoccupazioni, si stabilizza al 9% quella per lo scenario economico, all’8% quella per i debiti come per l’immigrazione. Al 7% si riscontra la preoccupazione per la salute, allo stesso livello dell’apprensione per la minaccia terrorismo e l’equilibrio tra vita personale e lavoro. Seguono la preoccupazione per la criminalità (5%) e per l’educazione dei figli (5%). Il 4% del campione dichiara di non avere preoccupazioni.
Per quanto concerne l’utilizzo del denaro restante dopo avere coperto le spese essenziali, il 38% degli intervistati dichiara di volere risparmiare, il 26% di spendere per vacanze/viaggi così come per abbigliamento, il 18% per l’intrattenimento fuori casa, l’11% per il saldo dei debiti, il 12% per l’acquisto di nuovi prodotti tecnologici. Più di un quarto (27%), tuttavia, rimane senza soldi alla fine del mese (era il 24% nel secondo trimestre 2014).
Tuttavia, un segnale positivo proviene dal calo rispetto allo scorso anno di quanti hanno modificato il proprio comportamento di spesa per potere risparmiare (69% secondo trimestre 2015 vs 74% secondo trimestre 2014). Nel 2012 e 2013 la quota di costoro superava l’80%.
Fra le misure di risparmio messe in atto dalla popolazione italiana, quella di ridurre le spese per i pasti fuori casa è stata adottata dal 64% degli intervistati. Segue il taglio alle spese per abiti (61%) e per il divertimento out of home (60%). Si rileva inoltre che il 53% degli italiani acquista marchi alimentari più economici, il 45% ha ridotto il budget per le vacanze, il 37% cerca di risparmiare su gas ed elettricità, il 36% ha rimandato l’acquisto di beni per la casa e la stessa percentuale utilizza meno l’auto, il 32% rinvia l’acquisto di strumenti tecnologici. D’altra parte, emerge anche la volontà di un deciso contenimento dei tagli su alcune voci di spesa nel corso del prossimo anno (i tagli sui ristoranti scenderanno al 25%, sull’abbigliamento al 18%, sul divertimento out of home al 22%).
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Fonte: Beverfood