LItalia del vino è la più grande fonte di emozioni al mondo. Ma la sua promozione generica non esiste e ha carte che la Francia non ha. Ai consumatori interessano luoghi precisi (io punto su Sicilia), storie no punteggi: a WineNews Jancis Robinson
A tu per tu con Alessandro Regoli di WineNews, Jancis Robinson, scrittrice e giornalista del Financial Times, una delle firme più prestigiose del vino mondiale“L’Italia, con le sue tante varietà, è la più grande fonte di emozioni al mondo, avvolta però da un velo di mistero. Ma la promozione generica del vino italiano non esiste, di certo non nel mio Paese. C’è molta promozione negli Stati Uniti, dove le vendite vanno molto bene, ma, da quello che posso vedere, non ce n’è abbastanza in Gran Bretagna, che ha un grandissimo potenziale. Gli italiani sono ossessionati dalla Francia, e invece l’Italia dovrebbe dimenticarsi della Francia, perché ha delle carte da giocare che la Francia non ha. Come altre cose, anche il vino e la gastronomia francesi stanno attraversando una fase di mancanza di fiducia, quindi dimenticatevi della Francia, siate orgogliosi di quello che avete”. A dirlo, a tu per tu con WineNews, è Jancis Robinson, scrittrice e giornalista del “Financial Times”, una delle firme più prestigiose del vino mondiale (con 40 anni di carriera alle spalle, festeggiati il 1 dicembre), che “osserva” e racconta dalla pagine del suo website (www.jancisrobinson.com), oggi dal “wine2wine” a Verona. Un’Italia del vino nella quale, dice l’influente wine critic britannica, “punto sulla Sicilia, stanno succedendo tante cose interessanti lì. Spero anche di poter vedere vini ancora più buoni in Sardegna, sono una fan di molti vini campani, e per quanto riguarda i vini bianchi non si possono non citare il Friuli e l’Alto Adige, e poi le Marche. Ho nominato gran parte dell’Italia, dimenticavo la Valle d’Aosta che produce molti vini hipster”.
Profonda ed autorevole conoscitrice del vino italiano, Jancis Robinson pensa che “il gran numero di varietà autoctone sia un punto di forza dell’Italia, in particolare in questo momento, caratterizzato da un grande interesse per le varietà indigene. I consumatori sono stanchi delle solite vecchie varietà internazionali. Quando abbiamo scritto il volume “Wine Grapes” abbiamo redatto una lista delle varietà divisa per Paesi: ebbene l’Italia ne aveva più di qualsiasi altro. Ne abbiamo contate 377 da cui si ottiene vino. Questo nel 2010-2011, sono sicura che oggi ne troveremmo almeno 400, ed il numero è in continua crescita. Tra l’altro molte di queste varietà si adattano bene ai climi caldi, e il mondo si sta scaldando, e ci sono Paesi, come l’Australia, che guardano con grande interesse a queste varietà italiane al fine di poterle piantare in loco”.
Per Jancis Robinson in questo momento “c’è un forte trend che si sta allontanando dai gusti internazionali, dai vini legnosi, dai vitigni internazionali, e più che di terroir espresso in maniera generica, credo che i consumatori siano interessati alle caratteristiche di luoghi di produzione del vino localizzati con precisione, ad una vigna ben determinata. Meno interessati a ciò che accade in cantina”. E non è certa “che quello che si vuole sia l’obiettività di giudizio quando si parla di vino. Sarebbe veramente molto triste se ci fosse un solo metro di giudizio per giudicare la qualità del vino, che suscita emozioni sempre diverse in chi lo assaggia. Se ci fosse un solo giudizio oggettivo, non ci sarebbe spazio per le preferenze individuali. Io non voglio un solo giudizio oggettivo, e si è visto chiaramente che non c’era alcun vantaggio quando si teneva troppo in considerazione il giudizio di un piccolo manipolo di critici”.
Per questo se si parla del futuro di classifiche e punteggi, la wine critic, sottolinea a WineNews, di sperare “in un allontanamento dall’epoca in cui i punteggi erano importanti. I consumatori stanno diventando sempre più competenti, con più fiducia in se stessi, sempre meno inclini ad accettare un punteggio dato da un soggetto terzo. Spero proprio che i punteggi non siano essenziali nel mercato del vino, e lo stesso spero per le classificazioni. Ci sono milioni e milioni di vini diversi e consumatori diversi, e tutte le possibili combinazione tra gli uni e gli altri danno sempre risultati diversi. Penso invece che lo storytelling sia molto importante, perché tutti i vini, esclusi quelli prodotti a livello industriale, hanno una storia dietro. Io amo raccontarle e coinvolgere i lettori, mi piace trasmette la portata culturale di un vino. Ed infatti oggi chi scrive di vino si concentra di più sulla sua storia e sul contesto, piuttosto che parlare di punteggi”.
E “il web è molto, molto importante per me. Passo le prime ore di ogni giorno alimentando il mio sito, il mio principale mezzo di comunicazione, ai consumatori e per ricevere informazioni da loro, cosa che adoro. Mi piace il fatto che ora la comunicazione sia diventata bidirezionale: è fantastico che un visitatore del sito mi comunichi cose, su un vino, che non sapevo, e mi piace il fatto che tutto sia più aperto e democratico. Grazie a questo scambio, si avrà sempre più storytelling”.
Festeggiando 40 anni come wine writer, tra i ricordi, “mi è balzato in mente l’intervista che ho fatto al Barone Philippe de Rothschild, mentre era a letto, faceva molti affari stando a letto, ed è stata una scena memorabile. Poi una degustazione a cui ho preso parte nel Museo nazionale russo del vino, in una specie di città sotterranea con tunnel e cantine, servito da terrificanti babuskhe in divisa bianca, non grandi vini, ma interessanti perché provenivano da ogni parte della Russia, e alcuni molto vecchi. E c’è anche quella di Hardy Rodenstock, un collezionista di vini tedesco che ha messo a disposizione dei presenti una sfilza di discutibili bottiglie di grandi etichette, anche molto antiche, ma non necessariamente il vino che contenevano corrispondeva a quanto scritto in etichetta. E in questi anni ho visto la grandezza del mondo del vino, ma anche che qualcuno, tristemente, può esserne risucchiato”.
Una carriera in cui è venuta in Italia “la prima volta a 13 anni. A 18 anni, tra le Superiori e l’Università, ho lavorato come cameriera all’hotel Il Pellicano a Porto Ercole, un’esperienza molto interessante, la mia paga era di 4 sterline alla settimana. Tutta la mia famiglia ama l’Italia, è la meta che scegliamo quando viaggiamo insieme, mentre per lavoro non ci vengo così spesso come vorrei, perché per il mio sito ho un bravissimo esperto di vini italiani, Walter Speller, che vive a Padova. È lui che si occupa della gran parte delle degustazioni e delle visite. Io vengo quando posso, ma generalmente non più di due volte l’anno”.
Difficile immaginarlo, ma se smettesse di occuparsi di vino, Jancis Robinson, confessa a WineNews che “quando cercavo il mio primo lavoro, nel 1975, non sapevo se sarei finita nel mondo del vino o in quello del cibo. Ero convinta che alla fine sarei finita in quello del cibo. Ho sposato un ristoratore e ho un figlio ristoratore, quindi penso che non sarei finita molto lontano dalla gastronomia, ma mi è sempre piaciuto scrivere, avrei comunque fatto la scrittrice”. Per ora, “sono lieta di annunciare che la quarta edizione del “The Oxford Companion to Wine”, pubblicata a settembre, 9 anni dopo la terza edizione, è già esaurita ed è già in ristampa, ed è stata tradotta in cinese mandarino, ma sfortunatamente non è stata tradotta in italiano. Ed ha ricevuto recensioni molto buone” (info: www.oxfordcompaniontowine.com).
Intanto, ecco a WineNews, ecco cosa lascia il 2015 al mondo del vino ed i trend da tenere sott’occhio nel 2016, secondo Jancis Robinson: “penso che il 2005 sia l’anno che ha fatto da spartiacque tra vini molto alcolici e legnosi e i vini del nuovo corso, più trasparenti, più espressivi, che ci parlano del territorio dal quale provengono. E questo testimonia la crescita della consapevolezza dell’importanza dell’opinione dei consumatori, che oggi sovrasta per numero se non per forza l’opinione dei wine writer come me. Per rimanere in gioco noi wine writer, come del resto i produttori, dobbiamo migliorare di anno in anno, perché la competizione si è fatta più dura, e oggi i consumatori hanno la possibilità di criticare il nostro operato, possono scrivere sul web che sono in disaccordo con noi, o ci possono correggere, è una competizione senza esclusione di colpi, ma è coinvolgente. È il miglior mondo del vino che abbiamo conosciuto finora, e il vino non è mai stato buono come adesso. Sono ottimista, e sono convinta che vedremo questo trend continuare l’anno prossimo”.
Fonte: Winenews
Per l'eurodeputato De Castro c'è il rischio di liberalizzazione per nomi come Lambrusco o Nebbiolo
L'Italia si oppone alla modifica dell'allegato Ocm che attualmente «blinda» alcune varietà tipiche N Eallarme deregulation dei nomi di alcuni vini italiani di grande notorietà internazionale. A sollevarlo è stato nei giorni scorsi l'europarlamentare del Gruppo dei Socialisti e Democratici, Paolo De Castro che ha sottolineato la propria «profonda preoccupazione sulla paventata liberali7a7ione che rischia di privare della tutela i vini identitari». La faccenda è un po' intricata. Già anni fa nell'ambito della lunga diatriba sul Tocai friulano e il Tokaj ungherese la Corte di giustizia Ue fissò il principio in base al quale il nome di un vitigno non poteva essere blindato, ma poteva essere tutelata e protetta solo la denominazione di un luogo geografico. Per questi motivi nella polemica sul Tokaj la denominazione andò alla città ungherese a discapito del nome del vitigno da sempre coltivato in Friuli Venezia Giulia. E per gli stessi motivi negli anni successivi nell'ambito della grande riorganizzazione della denominazione Prosecco, venne creata la Docg per l'area storica e poi una Doc per l'area allargata che arrivava a comprendere il paesino di Prosecco appunto in provincia di Trieste. Ma al di là di queste che sono le regole generali a margine della riforma Ocm del 2007 fu creata una lista di nomi (da Lambrusco a Verdicchio, da Fiano a Vermentino, da Nebbiolo a Barbera e a Primitivo) che pur essendo nomi di vitigni non potevano essere considerati nomi generici e quindi non potevano essere utilizzati da chiunque. Ma ecco ora profilarsi un nuovo colpo di scena. «Al momento non c'è alcuna decisione definita — spiega De Castro - ma registriamo un orientamento all'interno della Dg Agri a Bruxelles e un lavoro sottotraccia che punta alla cancellazione di quell'allegato alla riforma Ocm per arrivare a una liberalizzazione di quei nomi. Vorremmo stopparlo subito prima che si arrivi alla messa a punto di un atto delegato da parte della Commissione Ue». De Castro in particolare contesta da un lato l'ipotesi di cancellare un "pezzetto" dell'Ocm vino («cosa che non è mai accaduta prima» dice) e dall'altro una prospettiva che rischia di creare seri problemi a prodotti, come ad esempio il Lambrusco, che hanno tanto investito in questi anni per raggiungere una notorietà internazionale. «Ho sollevato la questione al Commissario Hogan — dice ancora De Castro — che non ne era a conoscenza mentre contemporaneamente il minister per le Politiche agricole sta lavorando non solo per non modificare quella lista ma per allargarla ad altri nomi, come ad esempio Sagrantino, che ne erano esclusi. Insomma terremo alta la guardia per disinnescare questa miccia che riteniamo sia tutta interna al segmento del vino mediterraneo. Mi pare infatti che la Spagna, ad esempio, abbia negli anni piantato molto ettari a Lambrusco che in base alle attuali regole non potrebbe essere commercializzato sui mercati internazionali con lo stesso nome utilizzato dai produttori italiani». • 2007 L'anno in cui la Corte Ue affidò il nome Tokaj alla località ungherese bloccandone l'uso ai produttori friulani per i quali era un vitigno. Da allora il nome di un vino è protetto solo se legato a un luogo geografico
Autore: GIORGIO DELL'OREFICE
Fonte: Sole24Ore
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