Quando le uve nobili del Belpaese, destinate alla produzione dei grandi rossi, nobilitano il Metodo Classico e le bollicine. Una tendenza in espansione, a cui non poteva sottrarsi neppure il Nebbiolo. Ma, da Nord a Sud, è un fenomeno ormai diffuso
Quando le uve nobili del Belpaese, destinate alla produzione dei grandi rossi, nobilitano la produzione del Metodo Classico e delle bollicine. Una tendenza in espansione a cui non poteva sottrarsi neppure il Nebbiolo, uva regina del Piemonte e dei grandi Barolo. Ma da Nord a Sud, praticamente tutti i vitigni a bacca rossa più importanti vengono usati per produrre bollicine.
Sul fronte piemontese, per altro, non si tratta di una novità assoluta - sono già in commercio, solo per fare alcuni esempi, le produzioni di Ettore Germano, Erpacrife e Parusso - ma pare che la tendenza sia decisamente in aumento: vinificare il Nebbiolo da Barolo in bianco e creare degli spumanti Metodo Classico. Ultimi a darsi a questa avventura, in ordine di tempo, riporta il quotidiano “La Stampa”, i produttori piemontesi Travaglini, Cantina Reverdito, Enrico Rivetto, Franco Conterno, Cascina Ballarin in Piemonte e La Kiuva della Val d’Asota. Nel 2010 hanno prodotto le prime (e per adesso in quantitativi ridotti) bottiglie di metodo classico ottenute da Nebbiolo in purezza, e, dopo 40 mesi di permanenza sui lieviti, è arrivato il momento del loro ingresso sul mercato. Si potrebbe pensare ad un Piemonte intenzionato a “riprendere” in mano la tradizione del Metodo Classico che, dopo tutto, è nata storicamente proprio in questa Regione. Le prime “bollicine” Metodo Classico italiane andarono in bottiglia per merito di Carlo Gancia, nel 1865. Ma al di là di questa motivazione dettata da una certa carica di “orgoglio enoico”, la ragione principale di questa scelta risiede negli straordinari successi di vendita delle bollicine made in Italy, che, se viene aggiunta anche la novità dell’utilizzo di uve di antica coltivazione di particolare pregio per altre produzioni, potrebbe innescare un “meccanismo” ad alto valore aggiunto. La fotografia dello spumante italiano, ad oggi, vede infatti una crescita esponenziale delle vendite, soprattutto oltre confine, guidata dal “fenomeno” Prosecco, ma ben assecondata anche dal resto della produzione del Belpaese. Crescita a doppia cifra che continua dopo sei anni d’incremento ininterrotto.
Certo, per adesso, si tratta di tentativi e di perfezionamenti che, necessariamente, avranno il loro esito qualitativo definitivo fra qualche tempo. Ma la strada imboccata sembra essere interessante e l’utilizzazione di “basi spumante” ottenute dai vitigni più nobili del nostro panorama enologico potrebbe funzionare esattamente come negli Champagne Blanc De Noirs, ottenuti dalle sole uve a bacca nera del Pinot Noir.
Anche nel resto dello Stivale questa tendenza sembra aver davanti a sé uno splendido futuro e, praticamente, tutti i vitigni a bacca rossa più importanti cominciano ad essere spumantizzati. In Toscana, sono già presenti molti esempi di vinificazione in bianco e spumantizzazione del Sangiovese come, solo per fare degli esempi, il Brut Rosé di Baracchi, quello di Felsina, quello del Castello di Cacchiano, o quello di Poggio Rubino prodotto a Montalcino come quello de Il Poggione e de Il Poggiolo. Anche in Umbria si spumantizza il Sangiovese in rosé (lo produce La Palazzola e Terre della Custodia), ma anche il Sagrantino di Montefalco è diventato Brut e lo realizza Scacciadiavoli. In Campania, Feudi di San Gregorio produce un Aglianico Brut Rosè come in Basilicata fa lo stesso Cantine del Notaio con il suo Extra Brut “La Stipula”. Nel sud Italia è forse la Puglia il luogo d’elezione per la spumantizzazione di uve rosse nobili. Il Negroamaro Brut Rosé è prodotto da cantine come Leone De Castris, Cantine Due Palme e Gianfranco Fino che ne fa una versione Pas Dosé. E c’è anche chi spumantizza il Primitivo come l’azienda Polvanera. Dal Nerello Mascalese da cui si ottiene l’Etna Rosso, Murgo produce un intrigante brut Metodo Classico. In Abruzzo c’è già una affermata tradizione della vinificazione in bianco del Montepulciano, per la produzione del Cerasuolo. E il passo per arrivare a delle bollicine Rosé sembra davvero breve.
Senza dimenticarsi, infine, della ricchezza dei Metodo Classico ottenuti da uve di antica coltivazione a bacca bianca. Eh sì, l’Italia può davvero diventare il Paese delle bollicine.
Fonte: Winenews
Filiere. Fivi contraria all'uso dei mosti - Mercuri: pratica utile ma più controlli P Neanche una vendemmia come quella 2015 che (settembre permettendo) si annuncia tra le migliori degli ultimi anni, riesce a mettere tutti d'accordo.
A far discutere è l'autorizzazione in alcune regioni all'arricchimento dei vini con mosti d'uva. Un via libera che secondo la Fivi (la Federazione italiana vignaioli indipendenti che associa circa 900 cantine) è «ingiustificato - ha detto la presidente, Matilde Poggi - perché potrebbe essere motivato con avversità atmosferiche che nel aoi5 non si sono registrate. Pertanto quest'anno questa pratica rischia solo di favorire i furbetti che manipolano vini di bassa qualità a discapito di chi lavora seriamente». L'arricchimento dei vini con mosti d'uva e mosti concentrati e rettificati viene da tempo previsto in Italia in alternativa allo zuccheraggio che vietato da noi ma è invece consentito in Germania, Austria e in alcune aree della Francia. In entrambi i casi si tratta di tecniche per dare corpo e gradazione alcolica a vini che acausadi climi in genere più freddi (come nel Nord Europa) o condizioni meteo avverse (come avvenuto talvolta in Italia) non raggiungono il tenore alcolico minimo per essere immessi sul mercato. In Italia nonostante, nel 2015, le positive condizioni meteo l'arricchimento è già stato richiesto, ed autorizzato, in Lombardia,Piemonte, Veneto,Friuli Venezia Giulia, Provincia autonoma di Trento, Emilia Romagna e Puglia e presto potrebbero aggiungersi altre regioni. «Il mondo delle cantine sociali ricorre all'arricchimento - ha ribattuto il presidente di Fedagri-Confcooperative, Giorgio Mercuri - perché anche in annate favorevoli ci sono partite di vino che ne hanno bisogno. Servono però maggiori controlli durante la vendemmia».
Questi i risultati dei test di patogenicità. Il dossier, corredato dei relativi dati scientifici, è stato già trasmesso ai competenti uffici della Commissione UE e la sua discussione è prevista nel Comitato Fitosanitario Permanente del 17-18 settembre a Bruxelles
Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali rende noto che si sono conclusi i test di patogenicità di Xylella fastidiosa per il genere Vitis, con il risultato definitivo che il ceppo rinvenuto a Lecce e denominato CoDiRO non contamina la vite.
I test, effettuati dall’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante (IPSP) del CNR e dal Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti (Di.S.S.P.A.) dell’Università degli Studi di Bari, sono durati più di 12 mesi e hanno riguardato diverse varietà di vite, dimostrando che le misure fitosanitarie applicate alle piante di vite contro Xylella fastidiosa possono essere abolite in quanto il ceppo batterico presente in Puglia non ha alcun effetto su queste piante.
Questi risultati rafforzano quanto sinora evidenziato dalle indagini effettuate nei territori contaminati.
Il dossier in questione, corredato dei relativi dati scientifici, è stato già trasmesso ai competenti uffici della Commissione UE e la sua discussione è prevista nel Comitato Fitosanitario Permanente del 17-18 settembre a Bruxelles, nell’ambito del quale dovranno essere assunte le decisioni in merito alla modifica della normativa dell’Unione su Xylella fastidiosa, eliminando la vite dall’elenco delle specie ospiti del ceppo CoDiRO sottoposte a regolamentazione.
“Si tratta di un risultato molto importante – ha dichiarato il Ministro Maurizio Martina – e sul quale abbiamo lavorato per mesi. Provvederemo alla pubblicazione del dossier e alla sua diffusione anche presso i Paesi terzi, perché in questi mesi ci sono state troppe speculazioni che hanno danneggiato il comparto vivaistico legato al commercio di barbatelle e di viti non solo in Puglia. Attraverso le nostre ambasciate inviteremo i Paesi che hanno blocchi sulle nostre piante a modificare le loro decisioni”.
fonte: Uiv