La superficie totale in ettari del nostro Paese è di 30.207.300 ha, di questi circa 12,8 milioni sono coltivabili e utilizzati in parte dal settore agricolo che però non ne sfrutta 1.219.593 (dato dell'Istituto Nazionale di Economia Agraria). Anche se dovessimo raddoppiare la potenza a terra parliamo di altri 17mila ha su 1 milione non utilizzati. «Di fronte a questi numeri - dichiara Veronica Pitea, Presidente di ACEPER (Associazione dei Consumatori e Produttori di Energie Rinnovabili), l'associazione che riunisce 10.000 impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, pari a oltre 7.000 associati per una potenza installata complessiva che supera i 2 GWp - capire la posizione del Governo e provare a giustificare una chiusura così netta sull'istallazione degli impianti a terra, visto l'utilizzo dei terreni e viste le istallazioni che abbiamo fatto nel corso degli anni, diventa davvero difficile. Non stiamo tenendo conto del fatto che i 16.400 ha non sono nemmeno tutti agricoli ma anche terreni industriali».
Passando all'analisi numerica degli impianti per settore di attività, si evince che: circa 1.355.687 ha sono impianti residenziali, 45.560 sono agricoli e 82.488 sono impianti industriali. «Ora noi abbiamo degli obbiettivi chiari da raggiungere entro il 2030 e potremmo pensare di farcela solo se il settore industriale cominciasse ad abbassare i suoi consumi che oggi cubano il 44% dei consumi totali a livello nazionale; questo 44% si traduce in circa 125,4 TWh (terawattora) e ne produce, sempre secondo i dati del Gse, 15.608 GWh (gigawattora), ovvero 15,6 TWh. Come facciamo ad abbattere i consumi se non incoraggiamo l'industria e poi blocchiamo anche le istallazioni a terra?», si chiede Pitea.
«Come Presidente di ACEPER e in rappresentanza dell'Italia, ho appena presenziato alla "Financial Inclusion Conference" del World Business Angels Investment Forum (WBAF), partner affiliato del G20, in una delle sedi più prestigiose nel mondo con una storia di oltre 300 anni, la Borsa londinese, la principale piazza finanziaria europea, tra le prime al mondo in termini di capitalizzazione. Purtroppo però l'idea che il mondo si sta facendo del nostro Paese è che siamo instabili a livello governativo e va detto che l'ultima mossa sulle rinnovabili non ci aiuta, a livello di investimenti siamo sempre meno interessanti per i fondi esteri», prosegue la Presidente di ACEPER.
La preoccupazione nasce anche dall'utilizzo dei fondi europei: il Dipartimento per le politiche di coesione, al 31 dicembre 2023, diceva che su 74 miliardi concessi abbiamo attivato progetti per meno del 6,5% e, dato ancor più preoccupante, abbiamo speso meno del 0,75% del totale.
«In tutto ciò, per quello che ci compete, non stiamo, nonostante i numeri lo stiano chiedendo, dando nessun tipo di incentivo all'industria per poter abbattere i costi e l'utilizzo di energia prodotta da fonti fossili. Sarebbe facile inserire un credito d'imposta per le aziende virtuose e produttive, il fotovoltaico deve diventare un bene strumentale. Vorremmo fare a questo punto due domande. Una direttamente al MASAF: perché, visti i dati che il Gse ci fornisce sulle istallazioni a terra e visto l'inutilizzo del suolo, è così determinato a bloccare le istallazioni a terra? E la seconda domanda va al MISE: perché non ci sono manovre finanziarie importanti per le PMI produttive che possano permettere all'Italia di diventare veramente green, visto che abbiamo i fondi per farlo?», conclude Veronica Pitea, Presidente di ACEPER.