San Ruffino.
Una cavalcata strana
nella dolce mia Toscana,
della Vespa accendo i fari,
non appena esco da Lari.
Proseguendo un minutino
mi ritrovo a San Ruffino,
un paese sconosciuto
che mi e' subito piaciuto.
E' una gran sera d'estate
ben si addice alle mangiate:
“Quel che c'e c'è”,
questa è l'isola che c'è,
una vecchia trattoria
che ricorda casa mia.
La facciata e' trasandata,
scalcinata e mitragliata,
messi appena i piedi a terra,
sembri uscito dalla guerra.
ma varcata appen la soglia
di mangia' ti vien la voglia.
C'è un ambiente familiare
l' aria poi e' particolare,
tutto quanto qui e' alla mano,
rigoroso e buon toscano.
Ti riceve il vero oste,
non l'impiegato delle poste,
che lo fa dopo lavoro,
senza voglia ne' decoro.
Qui ti fanno accomodare
dove meglio non puoi stare:
due ragazze col sorriso
con la gioia stampata in viso
ti consegnano il menù
e poi portan tanti piatti fino a che 'un c'e la fai piu'.
Antipasti di salumi
che di corsa te li fumi,
tortelloni al ragù finto
che ti sembra ben dipinto,
maccheroni col coniglio
di rincorsa me li piglio,
poi del pranzo sul più bello,
scrofonizzo anche l' agnello.
Fette arrosto di maiale,
fegatelli niente male,
della linea me ne impippa,
io mi mangio anche la trippa.
Annaffiato da buon rosso
mangio tutto a piu' non posso
e mi assaggio anche dei vini,
vino santo e cantuccini.
Pago il conto alle ragazze
con le guancie un po' paonazze,
alla Vespa poi mi avvio
con le gambe un tremolio.
Mi dispiace sto' a Livorno
ma qui proprio ci ritorno,
farò finta d'esse' a Incisa,
invece d'esse' in quel di Pisa.
A fatica metto in moto,
dal torpore poi mi scoto,
non pensando al palloncino,
lascio il cuore a San Ruffino.
Andrea Vanni